Se il metatarso ti lascia...a piedi

Se il metatarso ti lascia...a piedi

L’inizio potrebbe apparire quello di un film dell’orrore. Avete presente quelle pellicole in cui situazioni apparentemente normali precipitano da un momento all’altro in quello che chi è bravo in matematica (quella vera, non i conti della serva che faccio in telecronaca per le proiezioni di classifica delle prove multiple) definirebbe “caso peggiore”? Più o meno è la disavventura che ho vissuto io, con tutta l’inesperienza di chi non ha mai incorso in diverse stagioni di (modesta) attività sportiva un vero infortunio e si trova che fare con un incidente ben più grave di quello che si era prefigurato.

“APPIEDATO”

Incidente banale, ipotesi di una distorsione alla caviglia sinistra: almeno erano queste le aspettative di chi (io) era arrivato in pronto soccorso con l’intenzione di escludere fratture. Mai previsione fu più errata: frattura scomposta del quinto metatarso sinistro, con un frammento osseo partito pure per la tangente a rendere ancora più complessa la situazione (ma questo l’avrei capito dopo).

Sul momento (e nella successiva notte quasi insonne) i pensieri che si sono rincorsi sono stati tanti: da un lungo/lunghissimo stop forzato sul piano sportivo al vacillare dell’equazione “atletica uguale salute” (questo sport, in versione praticata, è stato utilissimo per rimettermi in gioco in momenti personalmente un po’ complicati) fino ai ragionamenti più complessi. Come ne uscirò? Quanto saranno condizionati il lavoro e la vita di tutti i giorni? Cercherò, se avrete la pazienza di leggermi, di raccontarvelo in questo blog, non prima però di aver citato i professionisti che mi hanno seguito (lo Studio Biomedico del dottor Luca De Ponti e del dottor Gerolamo Conti, Enne Medica e la dottoressa Barbara Baroni – clicca qui e leggi il suo articolo in cui spiega l’infortunio sull’ultimo numero di Voglia di Atletica – e i fisioterapisti di Sport Education Team di Cornegliano Laudense) e di aver fatto un’ampia premessa.

 

PUNTI DI PARTENZA

Punto numero uno: non vi sto a tediare con numeri (tanto molti di voi sapranno trovare i dati da soli), ma per livelli prestativi raggiunti (di recente ma soprattutto quando ero più giovane) ed età non posso essere considerato un paradigma per gli atleti del settore Assoluto. In poche parole: per chi l’atletica la pratica con obiettivi agonistici veri e propri (anche di livello medio o medio-basso) i tempi di recupero potrebbero essere anche decisamente più brevi di quelli che vi racconterò.

Punto numero due: sono alla terza stagione da master e l’esperienza (da tastiera ma anche da pista) mi ha mostrato come sia ancora anagraficamente troppo giovane per la fascia più frequentata dell’atletica degli over 35. Anche in questo caso “l’abito” disegnato per il mio recupero vale anche per chi di primavere ne ha 36 (e mezzo) ma potrebbe non essere adatto a chi ha qualche anno in più.

Punto numero tre: il mio lavoro è l’atletica raccontata e in tutto questo percorso poter tornare a una vita normale e lavorare nelle migliori condizioni e senza dolore è stato l’obiettivo perseguito sin dall’inizio.  Poi certo, mi piacerebbe tornare a correre e magari anche a sprintare (l’assegnazione a Pescara degli Europei Master 2023 mi ha sicuramente dato una “mano”).

Ringrazio tutti coloro che mi hanno scritto per incoraggiarmi, soprattutto dopo l’infortunio. Tra loro permettetemi un grazie particolare a un’atleta che avete visto in gara ai Mondiali indoor, Sveva Gerevini: l’in bocca al lupo di chi è passata in sei mesi da una frattura metatarsale e da una scarpa Talus a un doppio record italiano di pentathlon indoor e a una top ten in un Mondiale…è sicuramente una spinta non indifferente!

P.S.: per sapere cosa sia una scarpa Talus… appuntamento alla prossima puntata!