Giornata da ricordare, oggi giovedì 2 settembre, per i colori azzurri a Tokyo alle Paralimpiadi. Con una medaglia di bronzo di grande prestigio, Oney Tapia (FOTO Bizzi/CIP a sinistra) riesce a concedersi il secondo podio paralimpico, il terzo della sua carriera da lanciatore e il terzo per la compagine azzurra a queste Paralimpiadi. Dopo l’altro bronzo vinto nel peso qualche giorno fa, il vicecampione mondiale e argento a Rio 2016 replica con il terzo posto nel lancio del disco F11 gareggiando sotto una pioggia battente per tutta la durata della competizione. Nonostante le condizioni proibitive della pedana per i non vedenti, la prestazione dell’atleta delle Fiamme Azzurre si mantiene costante con una serie di lanci iniziali tra i 37 e i 38 metri (38,56-37,88) che si chiudono con la migliore misura di 39,52 al penultimo tentativo. Il vincitore è il solito brasiliano Alessandro Rodrigo da Silva (43,16), che bissa il successo di Rio davanti all’iraniano Mahdi Olad (40,60).
A fine competizione il lanciatore 45enne di origine cubana si dichiara poco soddisfatto del risultato, proprio nella sua specialità preferita: “Se sono riuscito a prendere questo bronzo, vuol dire che era questo quello che dovevo portare a casa. Mi sento un po’ deluso perché non sono riuscito a spingere e a fare la mia gara. Sapevo che potevo fare diversamente, però questa situazione di maltempo non mi ha aiutato molto. Questa è la seconda volta che gareggio in queste condizioni, ed è impossibile. Non vedendo, hai sempre la necessità di sentire il terreno, ma con questa pioggia la pedana era molto scivolosa. Non si riesce a reagire e a fare la prestazione come si deve perché tutto questo incide sull’equilibrio. Poi, provando e riprovando, ho pensato ‘O la va o la spacca’, o esce un lancio buono o succede qualcosa qui in pedana. In ogni caso non sono molto contento del mio risultato finale. Se domani si potesse gareggiare di nuovo e cambiasse il tempo, sarei il primo a tornare qui a lanciare per riprovarci”.
La medaglia numero quattro dell’Italia la porta Martina Caironi, nella foto d'archivio in home, una delle atlete abituate ad eccellere e a non mancare mai un appuntamento con il podio. Ai suoi terzi Giochi da Londra 2012, la saltatrice e sprinter bergamasca si laurea vicecampionessa paralimpica nel salto in lungo T63, accorpato alle categorie T61 e T42. L’argento ha il sapore agrodolce per la primatista mondiale di specialità che, nonostante sia riuscita ad avvicinare il suo record di 4 centimetri con la misura di 5,14, aveva sperato di fare di più. A sfidarla la rivale di sempre, l’australiana biamputata Vanessa Low che, dopo Rio 2016, le strappa nuovamente il più alto gradino del podio con il record del mondo T61 infilato all’ultimo salto: 5,28.
L’analisi della gara da parte della pluridecorata delle Fiamme Gialle è molto lucida: “La pedana, molto veloce, è stata stranamente complicata. Ho messo grande energia nei primi due salti, di cui due nulli. Il primo avrebbe potuto portarmi ad una misura ottima. Nonostante l’esperienza, in una gara importante e quando ti trovi sotto, si rischia di andare in confusione. In realtà ero concentrata tanto da azzeccare il salto del 5,14 ma non è bastato. La mia avversaria viaggiava su altre misure. Io sapevo di poter arrivare a 5,30 che era poi il mio obiettivo, ci ho provato e non è arrivato. Comunque non bisogna buttare via la gara, sono ancora qui dopo cinque anni dove sono successe tantissime cose. La Low è un’ottima saltatrice e ha una tecnica totalmente diversa dalla mia perché ha la doppia amputazione. La conosco dal 2010 e ci siamo sempre sfidate anche se è di un’altra categoria. Anche nelle edizioni precedenti è sempre stata 10 centimetri avanti a me e questo forse è fastidioso. In ogni caso questa medaglia vale tutti gli sforzi fatti quest’anno e vale il 50% dei sacrifici. Per l’altro 50% ci vediamo dopodomani”. Sabato, infatti, la Caironi sarà impegnata nei 100 T63 in una sfida serrata con le compagne azzurre Ambra Sabatini e Monica Contrafatto.
Giuliana Grillo (FISPES)